Sentenza n. 133 del 2023

SENTENZA N. 133

ANNO 2023

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Silvana SCIARRA;

Giudici: Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Marco D’ALBERTI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 6, comma 2, e 10, comma 6, della legge 28 gennaio 1994, n. 84 (Riordino della legislazione in materia portuale), nel testo anteriore alle modifiche apportate dal decreto legislativo 4 agosto 2016, n. 169, recante «Riorganizzazione, razionalizzazione e semplificazione della disciplina concernente le Autorità portuali di cui alla legge 28 gennaio 1994, n. 84, in attuazione dell’articolo 8, comma 1, lettera f), della legge 7 agosto 2015, n. 124», promosso dalla Corte di cassazione, sezione lavoro, nel procedimento vertente tra l’Autorità di sistema portuale del mare di Sardegna e Alessandro Boggio, con ordinanza del 9 agosto 2022, iscritta al n. 145 del registro ordinanze 2022 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 49, prima serie speciale, dell’anno 2022.

Udito nella camera di consiglio del 10 maggio 2023 il Giudice relatore Marco D’Alberti;

deliberato nella camera di consiglio del 10 maggio 2023.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 9 agosto 2022, iscritta al n. 145 del registro ordinanze 2022, la Corte di cassazione, sezione lavoro, ha sollevato, in riferimento all’art. 97, terzo comma (recte: quarto comma), della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 6, comma 2, e 10, comma 6, della legge 28 gennaio 1994, n. 84 (Riordino della legislazione in materia portuale), nel testo anteriore alle modifiche apportate dal decreto legislativo 4 agosto 2016, n. 169, recante «Riorganizzazione, razionalizzazione e semplificazione della disciplina concernente le Autorità portuali di cui alla legge 28 gennaio 1994, n. 84, in attuazione dell’articolo 8, comma 1, lettera f), della legge 7 agosto 2015, n. 124».

La prima disposizione censurata, l’art. 6, comma 2, prevedeva che «[l]’autorità portuale ha personalità giuridica di diritto pubblico ed è dotata di autonomia amministrativa salvo quanto disposto dall’articolo 12, nonché di autonomia di bilancio e finanziaria nei limiti previsti dalla presente legge. Ad essa non si applicano le disposizioni di cui alla legge 20 marzo 1975, n. 70 e successive modificazioni nonché le disposizioni di cui al decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni ed integrazioni, fatta eccezione per quanto specificamente previsto dal comma 2 dell’articolo 23 della presente legge».

L’art. 10, comma 6, della stessa legge n. 84 del 1994 stabiliva che «[i]l rapporto di lavoro del personale delle Autorità portuali è di diritto privato ed è disciplinato dalle disposizioni del codice civile libro V - titolo I - capi II e III, titolo II - capo I, e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa. Il suddetto rapporto è regolato da contratti collettivi nazionali di lavoro, sulla base di criteri generali stabiliti con decreto del Ministro dei trasporti e della navigazione, che dovranno tener conto anche della compatibilità con le risorse economiche, finanziarie e di bilancio; detti contratti sono stipulati dall’associazione rappresentativa delle Autorità portuali per la parte datoriale e dalle organizzazioni sindacali nazionali maggiormente rappresentative del personale delle Autorità portuali per la parte sindacale».

Entrambe le disposizioni sono censurate nella parte in cui, in violazione della regola del concorso pubblico, consentono ai dipendenti della Autorità portuale di accedere in via automatica ad una qualifica superiore per effetto dell’esercizio delle relative mansioni, a prescindere dalla verifica dei necessari requisiti di professionalità e dal ricorrere di una specifica esigenza pubblica, così ponendosi in contrasto con l’art. 97, quarto comma, Cost.

2.– Il giudice rimettente riferisce di essere chiamato a decidere sul ricorso proposto dall’Autorità di sistema portuale (AdSP) del mare di Sardegna, subentrata alla Autorità portuale di Cagliari, avverso la sentenza d’appello che, nel riformare la decisione di primo grado, ha riconosciuto – in applicazione dell’art. 2103 del codice civile – il diritto di un dipendente all’inquadramento di livello superiore (segnatamente, il primo della categoria impiegati) dal 1° luglio 2005, per effetto dello svolgimento di mansioni superiori dal 1° luglio 2004, condannando il datore di lavoro al pagamento delle differenze retributive maturate da tale data.

A fondamento dell’impugnazione, la parte ricorrente ha dedotto che dalla qualificazione delle Autorità portuali come enti pubblici non economici consegue la loro riconduzione all’ambito soggettivo delle pubbliche amministrazioni indicate dall’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), e quindi l’applicazione dell’art. 52 del medesimo decreto legislativo, con conseguente impossibilità di conseguire l’inquadramento superiore per effetto dell’esercizio delle relative mansioni.

Premessa la definitività dell’accertamento giudiziale del diritto del lavoratore a percepire le differenze retributive, la Corte di cassazione riferisce dunque di essere tenuta a decidere in ordine alla possibilità di applicare al rapporto di lavoro in esame la disciplina della promozione automatica prevista dall’art. 2103 cod. civ., nonché l’art. 4 del contratto collettivo nazionale dei lavoratori dei porti 2005-2008, vigente ratione temporis, che ha previsto, in caso di esercizio di mansioni superiori non dirigenziali, la definitività della assegnazione (salva l’ipotesi di sostituzione di un lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto), dopo un periodo di sei mesi per la qualifica di quadro e di tre mesi per tutti gli altri lavoratori.

3.– La Corte di cassazione rammenta che, in epoca successiva ai fatti che hanno dato origine al giudizio a quo, la legge n. 84 del 1994 è stata modificata dal d.lgs. n. 169 del 2016. Per effetto di questa riforma, le Autorità portuali sono state ridotte nel numero ed hanno assunto la nuova denominazione di «Autorità di sistema portuale», classificate ex lege come enti pubblici non economici. Il giudice a quo sottolinea che ad esse si applicano ora i principi del d.lgs. n. 165 del 2001, limitatamente al Titolo I, che peraltro non comprende l’art. 52 (art. 6, comma 5, della legge n. 84 del 1994, come sostituito dall’art. 7, comma 1, del d.lgs. n. 169 del 2016).

La Corte di cassazione evidenzia che la qualificazione delle Autorità portuali come enti pubblici non economici è stata affermata dall’art. 1, comma 993, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)». Ad avviso del giudice rimettente, questa definizione legislativa delle Autorità portuali non sarebbe innovativa, ma sarebbe stata desumibile già dalla legge n. 84 del 1994, in quanto volta a privilegiare la funzione della Autorità portuale di soggetto regolatore, rispetto a quella di produttore dei servizi portuali.

4.– Il giudice a quo fa inoltre rilevare che la natura di enti pubblici non economici delle Autorità portuali è stata da tempo riconosciuta dalla stessa giurisprudenza di legittimità, che – nel pronunciarsi in sede di regolamento di giurisdizione – ha ricondotto le medesime Autorità all’ambito soggettivo delle pubbliche amministrazioni indicate dall’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001, con conseguente devoluzione al giudice amministrativo delle controversie relative alle procedure concorsuali per l’assunzione del personale, ai sensi dell’art. 63, comma 4, dello stesso decreto (sono richiamate Corte di cassazione, sezioni unite, sentenza 24 luglio 2013, n. 17930, e ordinanza 25 febbraio 2016, n. 3733; sezione quinta civile, sentenza 27 febbraio 2013, n. 4925).

Il giudice rimettente osserva inoltre che l’Autorità portuale, quale ente pubblico non economico, costituisce rapporti di lavoro subordinato che, nella fase del reclutamento, sono regolati dal diritto pubblico, in ossequio all’art. 97, quarto comma, Cost., mentre nella fase successiva di gestione del rapporto sono interamente regolati dal diritto privato (sono richiamate Corte di cassazione, sezioni unite, sentenza 24 luglio 2013, n. 17930; sezione lavoro, ordinanza 25 giugno 2020, n. 12627).

5.– Sulla base di questi principi, è stato altresì escluso che la qualifica di dirigente della Autorità portuale possa essere acquisita in via automatica, ai sensi dell’art. 2103 cod. civ. e dell’art. 6 della legge 13 maggio 1985, n. 190 (Riconoscimento giuridico dei quadri intermedi). Per l’accesso alla qualifica dirigenziale, sarebbe stata quindi accolta un’interpretazione delle disposizioni censurate orientata al rispetto della regola del concorso pubblico, di cui all’art. 97, quarto comma, Cost.

D’altra parte, osserva il giudice a quo, ai rapporti di lavoro in esame andrebbe applicato il principio secondo cui il passaggio dall’inquadramento nelle aree funzionali alla qualifica di dirigente della stessa pubblica amministrazione è equiparato al reclutamento dall’esterno (sono richiamate Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenza 21 febbraio 2007, n. 4012, e ordinanza 6 ottobre 2020, n. 21484).

Ciò sarebbe confermato dalla specifica disciplina posta dagli artt. 23, 28 e 29 del d.lgs. n. 165 del 2001 per l’accesso ai ruoli della dirigenza pubblica privatizzata, differenziata rispetto alla generale disciplina del reclutamento del personale, prevista dal successivo art. 35.

Il giudice a quo sottolinea, inoltre, che l’art. 6, comma 6, della legge n. 84 del 1994 (come sostituito dall’art. 7, comma 1, del d.lgs. n. 169 del 2016), prevede ora che il personale dirigenziale e non dirigenziale delle istituite AdSP è assunto mediante procedure selettive di natura comparativa, secondo principi di adeguata pubblicità, imparzialità, oggettività e trasparenza. Anche questa disciplina costituirebbe enunciazione di un principio ricavabile dal sistema già in epoca precedente.

6.– Tuttavia, ad avviso del giudice a quo, un’analoga interpretazione, costituzionalmente conforme, non sarebbe praticabile nell’ipotesi, che ricorre nel caso in esame, in cui l’esercizio di mansioni superiori avvenga nell’ambito delle categorie non dirigenziali del personale dei porti, comprensive di operai, impiegati e quadri. Infatti, in questi passaggi di livello non verrebbe in rilievo la speciale disciplina del reclutamento dei dirigenti della pubblica amministrazione (è richiamata l’ordinanza della Corte di cassazione n. 21484 del 2020).

D’altra parte, per la regolamentazione del rapporto di lavoro l’art. 10, comma 6, della legge n. 84 del 1994 contiene il rinvio ai contratti collettivi nazionali di lavoro. Pertanto, l’art. 4 del contratto collettivo nazionale dei lavoratori dei porti, applicabile nel caso in esame, là dove fissa il periodo decorso il quale l’assegnazione a mansioni superiori diviene definitiva (sei mesi per i quadri e tre mesi per gli altri lavoratori) presupporrebbe la piena operatività dell’art. 2103 cod. civ., nonché dell’art. 6 della legge n. 190 del 1985.

Inoltre, l’art. 6, comma 2, della legge n. 84 del 1994, che escludeva, nel testo anteriore alle modifiche apportate dal d.lgs. n. 169 del 2016, l’applicabilità all’Autorità portuale del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 (Razionalizzazione della organizzazione delle Amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell’articolo 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), non consentirebbe neppure di applicare ai rapporti di lavoro in esame l’art. 52 del d.lgs. n. 165 del 2001, che esclude promozioni automatiche. Del resto, quest’ultima disposizione non è stata richiamata neppure nella nuova versione dello stesso art. 6, introdotta dalla riforma del 2016.

7.– Ad avviso del rimettente, l’espressa esclusione dell’applicabilità dello statuto del pubblico impiego contrattualizzato (art. 6, comma 2, della legge n. 84 del 1994), la qualificazione del rapporto di lavoro come di diritto privato e il rinvio alla disciplina generale del rapporto di lavoro subordinato nell’impresa (art. 10, comma 6, della legge n. 84 del 1994) comporterebbero l’applicazione ai rapporti di lavoro in esame della regola di acquisizione automatica della qualifica superiore, di cui all’art. 2103 cod. civ. (con l’unica eccezione, riconosciuta dalla giurisprudenza di legittimità, del passaggio alla qualifica dirigenziale).

Di qui il dubbio di legittimità costituzionale delle stesse disposizioni, nel testo vigente ratione temporis, in riferimento all’art. 97, quarto comma, Cost.

8.– Al riguardo, il giudice a quo richiama la giurisprudenza costituzionale secondo la quale, nell’ambito di un’amministrazione pubblica, il principio del pubblico concorso «si applica non solo nel caso di nuovo inquadramento nella qualifica dirigenziale di dipendenti già in servizio ma anche per il passaggio ad una fascia funzionale superiore» (è richiamata la sentenza n. 37 del 2015). Secondo il giudice rimettente, «[a]nche in questo caso si verifica, infatti, l’accesso ad un nuovo posto di lavoro corrispondente a funzioni più elevate sicché esso è soggetto […] alla regola del pubblico concorso», cui va riconosciuto un ambito di applicazione ampio, tale da non includere soltanto le ipotesi di assunzione di soggetti estranei alle pubbliche amministrazioni, ma anche i casi di nuovo inquadramento di dipendenti già in servizio (è richiamata la sentenza n. 217 del 2012).

Inoltre, osserva il giudice a quo, la facoltà del legislatore di introdurre deroghe al principio del pubblico concorso, di cui all’art. 97, quarto comma, Cost., deve essere delimitata in modo rigoroso, potendo tali deroghe essere considerate legittime solo quando siano funzionali esse stesse al buon andamento dell’amministrazione e ove ricorrano peculiari e straordinarie esigenze di interesse pubblico idonee a giustificarle e, comunque, sempre che siano previsti adeguati accorgimenti per assicurare che il personale assunto abbia la professionalità necessaria allo svolgimento dell’incarico (sono richiamate le sentenze n. 227 del 2021, n. 166 del 2020 e n. 217 del 2012).

Se è vero che il legislatore ordinario può contemplare deroghe rispetto alla regola generale del pubblico concorso, ciò deve avvenire entro i limiti derivanti dalla stessa esigenza di garantire il buon andamento dell’amministrazione, fermo il necessario vaglio di ragionevolezza e la rigorosa delimitazione dell’area delle eccezioni al concorso (è richiamata la sentenza n. 133 del 2020).

9.– Le disposizioni censurate non risponderebbero a questi principi.

Nonostante la natura di pubblica amministrazione dell’Autorità portuale, esse consentirebbero, in via generale e a prescindere dal vaglio dei necessari requisiti di professionalità e dal ricorrere di una specifica esigenza pubblica, di accedere ad una qualifica superiore in deroga al principio del pubblico concorso, che riguarda anche l’acquisizione di un inquadramento superiore.

D’altra parte, la qualificazione del rapporto di lavoro alle dipendenze della Autorità portuale come rapporto di diritto privato non sarebbe idonea a giustificare, sotto il profilo costituzionale, l’applicazione della regola di promozione automatica di cui all’art. 2103 cod. civ. Infatti, per non essere elusiva del principio del pubblico concorso, tale qualificazione dovrebbe rispettare i limiti e le condizioni fissati dalla giurisprudenza costituzionale nell’interpretare l’art. 97, quarto comma, Cost.

Viceversa, nel caso in esame, l’eccezione alla regola del concorso, derivante dall’applicazione dell’art. 2103 cod. civ., sarebbe priva di alcuna delimitazione e di alcun collegamento con un’esigenza specifica e straordinaria di buon andamento dell’amministrazione.

10.– Il Presidente del Consiglio dei ministri non è intervenuto nel presente giudizio di legittimità costituzionale.

Considerato in diritto

1.– Con l’ordinanza indicata in epigrafe, la Corte di cassazione, sezione lavoro, ha sollevato, in riferimento all’art. 97, terzo comma (recte: quarto comma), Cost., questione di legittimità costituzionale degli artt. 6, comma 2, e 10, comma 6, della legge n. 84 del 1994, nel testo anteriore alle modifiche apportate dal d.lgs. n. 169 del 2016.

La prima disposizione censurata prevedeva che «[l]’autorità portuale ha personalità giuridica di diritto pubblico ed è dotata di autonomia amministrativa salvo quanto disposto dall’articolo 12, nonché di autonomia di bilancio e finanziaria nei limiti previsti dalla presente legge. Ad essa non si applicano le disposizioni di cui alla legge 20 marzo 1975, n. 70 e successive modificazioni nonché le disposizioni di cui al decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni ed integrazioni, fatta eccezione per quanto specificamente previsto dal comma 2 dell’articolo 23 della presente legge».

L’art. 10, comma 6, della stessa legge n. 84 del 1994 stabiliva che «[i]l rapporto di lavoro del personale delle Autorità portuali è di diritto privato ed è disciplinato dalle disposizioni del codice civile libro V - titolo I - capi II e III, titolo II - capo I, e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa. Il suddetto rapporto è regolato da contratti collettivi nazionali di lavoro, sulla base di criteri generali stabiliti con decreto del Ministro dei trasporti e della navigazione, che dovranno tener conto anche della compatibilità con le risorse economiche, finanziarie e di bilancio; detti contratti sono stipulati dall’associazione rappresentativa delle Autorità portuali per la parte datoriale e dalle organizzazioni sindacali nazionali maggiormente rappresentative del personale delle Autorità portuali per la parte sindacale».

Entrambe le disposizioni sono censurate in riferimento all’art. 97, quarto comma, Cost., nella parte in cui, in violazione della regola del concorso pubblico, consentono ai dipendenti della Autorità portuale l’accesso in via automatica ad una qualifica superiore per effetto dell’esercizio delle relative mansioni, a prescindere dalla verifica dei necessari requisiti di professionalità e dal ricorrere di una specifica esigenza pubblica.

2.– Prima di procedere all’esame delle questioni nel merito, appare opportuno effettuare una sintetica ricostruzione del quadro normativo, caratterizzato da una complessa evoluzione, connessa al graduale mutamento del ruolo svolto dalle Autorità portuali.

2.1.– Come è noto, prima della legge n. 84 del 1994, le competenze in ordine alla gestione e la regolamentazione dei porti erano affidate alle autorità marittime, nel rispetto delle previsioni del regio decreto 30 marzo 1942, n. 327 (Approvazione del testo definitivo del Codice della navigazione). Tale modello, tuttavia, contemplava numerose deroghe, introdotte da leggi speciali che, nel corso degli anni, avevano istituito appositi enti portuali (art. 19 cod. nav.), destinati al governo dei principali scali nazionali e chiamati sia a svolgere funzioni pubbliche, di regolazione e cura degli interessi pubblici coinvolti nell’attività di navigazione e riparo delle navi, sia ad occuparsi dello sviluppo dei traffici portuali, anche attraverso l’esercizio di attività di tipo economico e imprenditoriale. Questa compresenza di funzioni eterogenee si rifletteva sull’inquadramento giuridico degli enti portuali, ai quali – in assenza di un’esplicita qualificazione normativa – era comunque riconosciuta la natura di enti pubblici economici.

2.2.– L’istituzione delle Autorità portuali, avvenuta con la legge n. 84 del 1994, è stata ispirata dalla finalità di distinguere le funzioni di amministrazione, programmazione e controllo del territorio su cui insiste lo scalo e delle relative infrastrutture, rispetto alle attività di gestione ed erogazione di beni e servizi di interesse portuale. La citata legge ha quindi previsto l’istituzione delle Autorità portuali come persone giuridiche di diritto pubblico, dotate di autonomia amministrativa, di autonomia di bilancio e finanziaria, espressamente esonerate dall’applicazione della legge 20 marzo 1975, n. 70 (Disposizioni sul riordinamento degli enti pubblici e del rapporto di lavoro del personale dipendente) e del d.lgs. n. 29 del 1993 (art. 6, comma 2, oggetto di censura nel presente giudizio).

La medesima legge ha altresì previsto che le stesse Autorità subentrassero ai precedenti enti portuali «nella titolarità dei beni e nella totalità dei rapporti attivi e passivi» (art. 20, comma 6). La continuità tra le Autorità portuali e i preesistenti enti portuali è stata poi confermata dal successivo decreto-legge 21 ottobre 1996, n. 535 (Disposizioni urgenti per i settori portuale, marittimo, cantieristico ed armatoriale, nonché interventi per assicurare taluni collegamenti aerei), convertito, con modificazioni, nella legge 23 dicembre 1996, n. 647. Nel sostituire il testo del richiamato art. 20, il citato decreto-legge ha ribadito che le stesse Autorità subentrano alle organizzazioni portuali «nella proprietà e nel possesso dei beni in precedenza non trasferiti e in tutti i rapporti in corso». Inoltre, l’art. 23, comma 2, della legge n. 84 del 1994 ha previsto che «[i]l personale delle organizzazioni portuali è trasferito alle dipendenze delle autorità portuali, in continuità di rapporto di lavoro e conservando il trattamento previdenziale e pensionistico in essere alla data del trasferimento nonché, ad personam, il trattamento retributivo».

Quanto alla disciplina dei relativi rapporti di lavoro, l’art. 10, comma 6, della stessa legge n. 84 del 1994, oggetto di censura nel presente giudizio, ha stabilito che il rapporto di lavoro dell’intero personale dell’Autorità portuale è disciplinato dal diritto privato, dalle disposizioni del codice civile, dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa, nonché dai contratti collettivi nazionali di lavoro.

Va peraltro rilevato che – anche dopo l’entrata in vigore della legge n. 84 del 1994 – la distinzione tra i differenti ruoli svolti dalle Autorità portuali è rimasta solo tendenziale. Infatti, ad esse rimanevano attribuite funzioni eterogenee, riconducibili alla loro duplice natura: l’una, legata alla titolarità di poteri pubblicistici di regolazione e di controllo, a garanzia del rispetto delle regole di mercato tra le imprese operanti nel porto; l’altra, connessa all’esercizio diretto di attività economiche e alla prestazione di servizi. Sotto quest’ultimo profilo, rilevano in particolare la possibilità di «costituire ovvero partecipare a società esercenti attività accessorie o strumentali rispetto ai compiti istituzionali affidati alle autorità medesime» (art. 6, comma 6, secondo periodo, della legge n. 84 del 1994, come modificata dall’art. 8-bis, comma 1, lettera d, del decreto-legge 30 dicembre 1997, n. 457, recante «Disposizioni urgenti per lo sviluppo del settore dei trasporti e l’incremento dell’occupazione», convertito, con modificazioni, nella legge 27 febbraio 1998, n. 30), nonché la facoltà di prestare «servizi di interesse generale» (art. 23, comma 5).

Del resto, la stessa disposizione che istituisce le Autorità portuali, l’art. 6, comma 2, oggetto di censura nel presente giudizio, non contiene un’espressa qualificazione della natura giuridica delle stesse, limitandosi a disporre che «[l]’autorità portuale ha personalità giuridica di diritto pubblico ed è dotata di autonomia amministrativa […] nonché di autonomia di bilancio e finanziaria». Va pertanto rilevato che, anche all’indomani della riforma introdotta dalla legge n. 84 del 1994, la qualificazione giuridica delle Autorità portuali come enti pubblici non economici non aveva ancora ricevuto un espresso riconoscimento normativo. È per questi motivi che nella giurisprudenza successiva alla legge n. 84 del 1994 si rinvengono non univoche affermazioni circa la loro natura di “enti pubblici”, ovvero di “enti pubblici economici”.

2.3.– Un significativo elemento di novità nell’evoluzione della disciplina delle Autorità portuali è stato introdotto dall’art. 1, comma 993, della legge n. 296 del 2006. Si tratta di una disposizione di carattere fiscale, che «in ragione della natura giuridica di enti pubblici non economici delle autorità medesime» ha escluso dall’applicabilità del regime tributario dell’imposta sul valore aggiunto (IVA) i canoni di concessione demaniale marittima.

Solo successivamente a tale intervento legislativo la giurisprudenza, sia amministrativa, sia ordinaria, si è attestata sul riconoscimento della natura di enti pubblici non economici delle Autorità portuali. Esse sono state ricondotte all’ambito soggettivo delle pubbliche amministrazioni indicate dall’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001 ed è stato riconosciuto che le controversie sulle procedure concorsuali di assunzione dei dipendenti sono devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 63, comma 4, dello stesso d.lgs. n. 165 del 2001 (Cass., sez. un., n. 3733 del 2016 e n. 17930 del 2013; Consiglio di Stato, sezione quarta, sentenza 27 ottobre 2015, n. 5801 e ordinanza 8 maggio 2013, n. 2492; sezione sesta, sentenze 15 dicembre 2014, n. 6146 e 9 ottobre 2012, n. 5248).

2.4.– Il successivo d.lgs. n. 169 del 2016 ha accentuato l’attrazione delle AdSP, subentrate alle precedenti Autorità portuali, nell’ambito delle pubbliche amministrazioni. L’art. 6, comma 5, della legge n. 84 del 1994, come modificato dall’art. 7 del d.lgs. n. 169 del 2016, stabilisce ora che «[l]’Autorità di sistema portuale è ente pubblico non economico di rilevanza nazionale a ordinamento speciale ed è dotato di autonomia amministrativa, organizzativa, regolamentare, di bilancio e finanziaria». Il successivo art. 12 sottopone le AdSP al potere di vigilanza e di indirizzo del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il quale, in base al disposto dell’art. 6, comma 8, approva, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, il regolamento che disciplina la gestione contabile e finanziaria di ciascuna AdSP.

Il d.lgs. n. 169 del 2016 ha, inoltre, rafforzato la distinzione tra le funzioni regolatorie e quelle economiche e imprenditoriali, anche attraverso la previsione di un’attività di gestione e amministrazione del demanio pubblico e, in particolare, del demanio marittimo. In particolare, l’art. 6, comma 11, della legge n. 84 del 1994, come modificato dall’art. 7 del citato d.lgs. n. 169 del 2016 , stabilisce che le AdSP non possono svolgere, né direttamente, né tramite società partecipate, operazioni portuali e attività ad esse strettamente connesse. Esse possono «sempre disciplinare lo svolgimento di attività e servizi di interesse comune e utili per il più efficace compimento delle funzioni attribuite, in collaborazione con Regioni, enti locali e amministrazioni pubbliche», nonché «assumere partecipazioni, a carattere societario di minoranza, in iniziative finalizzate alla promozione di collegamenti logistici e intermodali, funzionali allo sviluppo del sistema portuale» (art. 6, comma 11, secondo e terzo periodo).

L’espressa qualificazione come enti pubblici non economici ha comportato per le AdSP l’esigenza di garantire il rispetto dei principi di efficienza, imparzialità e trasparenza in ambiti essenziali delle proprie strutture. Per queste finalità, il legislatore del 2016 ha espressamente previsto l’applicazione dei principi generali di cui al Titolo I del d.lgs. n. 165 del 2001 (articoli da 1 a 9) e il rispetto dei principi di cui all’art. 35, comma 3, del medesimo decreto legislativo per il reclutamento del personale dirigenziale e non dirigenziale (art. 6, comma 5, della legge n. 84 del 1994, sempre come modificato dal citato art. 7). Pertanto, l’assunzione del personale delle istituite AdSP deve ora avvenire mediante procedure selettive di natura comparativa, secondo principi di adeguata pubblicità, imparzialità, oggettività e trasparenza (art. 6, comma 6).

Peraltro, la progressiva attrazione delle Autorità in esame nell’ambito delle pubbliche amministrazioni non ha determinato l’automatico e integrale assoggettamento dei rapporti di lavoro con il relativo personale alla disciplina propria dell’impiego pubblico. Pur essendo espressamente prevista, dall’art. 6, comma 5, l’applicabilità dei principi generali stabiliti negli articoli da 1 a 9 e 35, comma 3, del d.lgs. n. 165 del 2001, tuttavia, anche nella nuova configurazione delle AdSP introdotta dal d.lgs. n. 169 del 2016 la disciplina del rapporto di lavoro è rimasta saldamente ancorata al modello privatistico.

Infatti, l’art. 10, comma 6, della legge n. 84 del 1994 prevede tuttora che «[i]l rapporto di lavoro del personale delle Autorità di sistema portuale è di diritto privato ed è disciplinato dalle disposizioni del codice civile libro V - titolo I - capi II e III, titolo II - capo I, e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa. Il suddetto rapporto è regolato da contratti collettivi nazionali di lavoro».

Va in particolare evidenziato, per quanto qui rileva, che il d.lgs. n. 169 del 2016 non ha richiamato l’art. 52 del d.lgs. n. 165 del 2001, che – in caso di effettiva prestazione di mansioni proprie della qualifica immediatamente superiore – riconosce al lavoratore solo il diritto al trattamento economico previsto per la qualifica superiore, prevedendo la nullità dell’assegnazione del medesimo lavoratore a mansioni proprie di una qualifica superiore. Ne discende che, anche all’esito della riforma del 2016, al rapporto di lavoro con le AdSP non si applica il divieto di cui all’art. 52 del d.lgs. n. 165 del 2001.

3.– Ciò premesso, la questione di legittimità costituzionale degli artt. 6, comma 2, e 10, comma 6, della legge n. 84 del 1994 non è fondata.

3.1.– Dalla ricostruzione normativa e giurisprudenziale sopra illustrata emerge che – in considerazione della compresenza di funzioni eterogenee attribuite dalla legge n. 84 del 1994 alle Autorità portuali e della loro controversa qualificazione giuridica prima delle modifiche introdotte dal d.lgs. n. 169 del 2016 – i rapporti di lavoro instaurati con tali enti pubblici non potevano ritenersi integralmente regolati dalla disciplina del pubblico impiego.

In realtà, come si è visto, ciò non è avvenuto neppure all’esito della successiva riforma introdotta dal d.lgs. n. 169 del 2016, che – pur richiamando alcuni dei principi generali del d.lgs. n. 165 del 2001 – ha mantenuto i tratti salienti dello statuto privatistico del rapporto di lavoro, nonostante l’espressa qualificazione normativa delle AdSP quali enti pubblici non economici (art. 10, comma 6, come modificato dall’art. 7 del d.lgs. n. 169 del 2016).

3.2.– Nel caso in esame, è posta in dubbio la legittimità costituzionale degli artt. 6, comma 2, e 10, comma 6 – nel testo, applicabile ratione temporis, anteriore alle modifiche introdotte dal d.lgs. n. 169 del 2016 – là dove concorrono ad escludere l’applicabilità alle Autorità portuali dello statuto del pubblico impiego e a disciplinare i relativi rapporti di lavoro secondo le disposizioni del codice civile, delle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa e dei contratti collettivi nazionali di lavoro.

Da questo assetto normativo, complessivamente configurato dalle disposizioni censurate, discende dunque l’applicabilità dell’art. 2103 cod. civ. e il conseguente riconoscimento di una qualifica superiore per effetto dell’assegnazione e dell’esercizio delle relative mansioni. È proprio in ciò che il giudice a quo ravvisa la violazione dell’art. 97, quarto comma, Cost., ovvero del principio del pubblico concorso, poiché l’inquadramento nella qualifica superiore avviene al di fuori di una selezione di carattere concorsuale.

Il parametro costituzionale evocato prevede espressamente il principio del pubblico concorso per il reclutamento iniziale. Questa Corte ha riconosciuto in tale principio la «forma generale e ordinaria di reclutamento per le amministrazioni pubbliche», rappresentata da una selezione trasparente, comparativa, basata esclusivamente sul merito e aperta a tutti i cittadini in possesso di requisiti previamente e obiettivamente definiti (tra le molte, sentenze n. 199 e n. 36 del 2020, n. 40 del 2018).

Peraltro, la giurisprudenza costituzionale ha ritenuto che il concorso sia necessario anche nei casi di nuovo inquadramento in una qualifica superiore di dipendenti già in servizio, poiché «[a]nche il passaggio ad una fascia funzionale superiore comporta “l’accesso ad un nuovo posto di lavoro corrispondente a funzioni più elevate ed è soggetto, pertanto, quale figura di reclutamento, alla regola del pubblico concorso” (sentenza n. 194 del 2002; ex plurimis, inoltre, sentenze n. 217 del 2012, n. 7 del 2011, n. 150 del 2010, n. 293 del 2009)» (sentenza n. 37 del 2015). Si tratta, in effetti, di una giurisprudenza riferita soprattutto a casi di passaggio a qualifiche dirigenziali, in amministrazioni sia statali, sia regionali, di sicuro rilievo pubblicistico, ovvero a casi di integrale o prevalente riserva di posti a personale interno, per la progressione in carriera.

Questa Corte ha inoltre riconosciuto che la regola del concorso pubblico non è assoluta, essendo consentite deroghe legislativamente disposte per singoli casi. Tale regola non esclude dunque forme diverse di reclutamento, purché siano funzionali esse stesse al buon andamento dell’amministrazione, rispondano a criteri di ragionevolezza e siano comunque in armonia con le disposizioni costituzionali (sentenze n. 110 del 2023, n. 227 del 2021, n. 133 del 2020, e n. 34 del 2004).

3.3.– Alla luce di quanto detto, devono essere valutate le disposizioni censurate della legge n. 84 del 1994, che nel testo applicabile ratione temporis disciplinano, con carattere di indubbia specialità, il rapporto di lavoro del personale delle Autorità portuali.

Ebbene, la scelta operata dal legislatore del 1994 di regolare questi rapporti di lavoro secondo modelli propri del diritto privato – e la conseguente applicabilità dell’art. 2103 cod. civ. nell’ambito delle progressioni in carriera – appare giustificata dal perseguimento del buon andamento e dell’efficienza dell’amministrazione delle Autorità portuali, così come istituite e configurate dalla legge n. 84 del 1994.

Prevedere il concorso pubblico ai fini della promozione ad una qualifica superiore per lo svolgimento di funzioni e mansioni non dirigenziali, come sono quelle di cui al giudizio a quo, avrebbe avuto come conseguenza l’eccessivo irrigidimento nella gestione del personale e non avrebbe consentito risposte tempestive alle esigenze operative dei porti.

Si tratta, infatti, di una scelta che – nel tenere conto dell’esperienza professionale in concreto acquisita a seguito dell’assegnazione a mansioni di livello superiore – risulta coerente sia con la natura delle attività operative, anche di carattere economico e imprenditoriale, in concreto affidate alle stesse Autorità portuali dalla legge n. 84 del 1994, sia con le connesse esigenze di flessibilità dei rapporti con il proprio personale, sia con l’assorbimento del personale delle preesistenti organizzazioni portuali, a seguito del subentro nella titolarità dei beni e dei rapporti già instaurati con queste ultime (art. 20, comma 6, della legge n. 84 del 1994).

Sotto quest’ultimo profilo, nel sistema della legge n. 84 del 1994, il mantenimento della disciplina privatistica di tali rapporti e la conseguente assenza di previsioni relative a procedure selettive di carattere concorsuale per le progressioni in carriera risultano giustificati, su un piano di ragionevolezza e di efficienza, dalla continuità dei rapporti di lavoro dei dipendenti “transitati” nelle nuove Autorità portuali, dalla tutela degli affidamenti maturati sulla precedente disciplina del rapporto, nonché dalle esigenze di assorbimento di questo personale.

Del resto, l’assenza di meccanismi di tipo concorsuale nella fase di gestione del rapporto di lavoro, ai fini delle progressioni in carriera verso posizioni non dirigenziali, costituisce il riflesso della struttura privatistica della fase del reclutamento del medesimo personale. Nel sistema della legge n. 84 del 1994, infatti, trattandosi di personale “transitato” ex lege dalle precedenti organizzazioni portuali, neppure per le assunzioni era prevista la necessità di una fase procedimentale di selezione concorsuale.

In generale, per le Autorità portuali istituite dalla legge n. 84 del 1994, più che per altre pubbliche amministrazioni, la via dell’efficienza nella gestione dei rapporti di lavoro ha continuato ad essere ricercata nell’ambito del modello privatistico, cui il legislatore ha fatto richiamo per istituti, come quello previsto dall’art. 2103 cod. civ., difficilmente compatibili con la disciplina del pubblico impiego.

3.4.– In effetti, la giurisprudenza di legittimità ha recentemente escluso l’applicabilità dell’art. 2103 cod. civ. ai fini del passaggio nei ruoli dirigenziali presso le Autorità portuali, in quanto l’immissione in tali ruoli, anche quando consegue ad una progressione verticale, è equiparabile al reclutamento esterno e attiene alla fase della costituzione del rapporto di lavoro, retta dai principi fissati dall’art. 97, quarto comma, Cost. (Corte di cassazione, ordinanza n. 21484 del 2020); ciò che, invece, non può dirsi quanto al passaggio tra mansioni e qualifiche meno elevate, quali quelle impiegatizie oggetto del giudizio a quo.

In realtà, la differenza che si è così determinata rispetto all’inquadramento nelle qualifiche non dirigenziali – oggetto della questione in esame, sollevata dalla stessa Corte di cassazione – riflette una distinzione sostanziale, che discende dalle peculiarità proprie della qualifica dirigenziale, la quale è posta al vertice dell’organizzazione e nel settore pubblico è caratterizzata dalla preposizione ad uffici aventi natura di organi.

Questa Corte ha sottolineato la peculiarità della dirigenza «collocata in una posizione apicale autonoma e intermedia fra il livello politico e quello burocratico», il cui status, acquisibile solo nel rispetto delle procedure concorsuali, è connotato da «garanzia di autonomia e di indipendenza» (sentenza n. 164 del 2020).

3.5.– Alla luce di tale quadro normativo e giurisprudenziale, appare non irragionevole l’applicazione dell’art. 2103 cod. civ. – consentita dalla legge n. 84 del 1994 – al passaggio a qualifica superiore non dirigenziale. Si tratta di una scelta che, nello specifico contesto, risulta finalizzata a mantenere un trattamento adeguatamente differenziato per rapporti che, sia per la loro genesi, sia per esigenze di flessibilità connesse al concreto svolgimento delle prestazioni lavorative, presentano tratti di accentuata specialità.

La questione di legittimità costituzionale delle disposizioni di cui agli artt. 6, comma 2, e 10, comma 6, della legge n. 84 del 1994, nel testo anteriore alle modifiche apportate dal d.lgs. n. 169 del 2016, risulta, pertanto, non fondata.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 6, comma 2, e 10, comma 6, della legge 28 gennaio 1994, n. 84 (Riordino della legislazione in materia portuale), nel testo anteriore alle modifiche apportate dal decreto legislativo 4 agosto 2016, n. 169, recante «Riorganizzazione, razionalizzazione e semplificazione della disciplina concernente le Autorità portuali di cui alla legge 28 gennaio 1994, n. 84, in attuazione dell’articolo 8, comma 1, lettera f), della legge 7 agosto 2015, n. 124» sollevata, in riferimento all’art. 97, quarto comma, della Costituzione, dalla Corte di cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 maggio 2023.

F.to:

Silvana SCIARRA, Presidente

Marco D'ALBERTI, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 30 giugno 2023.